STANLEY L. JAKI

(1924-2009)

 

Il 7 aprile 2009 è deceduto a Madrid, in seguito a un attacco cardiaco, lo scienziato, storico e filosofo della scienza Stanley L. Jaki. Con la sua morte alla comunità scientifica viene a mancare una delle voci più autorevoli all’interno del dibattito epistemologico contemporaneo, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra scienza e teologia cristiana.

          Nato a Györ (Ungheria), fin dalla prima età Jaki ha sentito la vocazione sacerdotale che ha realizzato nell’ordine benedettino presso il quale aveva effettuato i primi studi. Dopo aver conseguito la licenza in teologia al Sant’Anselmo di Roma nel 1950, l’anno dopo è stato inviato all’abbazia di St. Vincent in Pennsylvania. In questo periodo la sua vita è stata segnata dalla temporanea perdita della voce per circa dieci anni. Tale problema, tuttavia, non gli ha impedito di continuare i suoi studi che gli sono valsi il PhD in fisica alla Fordham University, ottenuto nel 1957, sotto la guida del Premio Nobel Victor Hess (1883-1964). Dal 1965 Jaki ha assunto la docenza presso la Seton Hall University nella quale è rimasto fino alla fine dei suoi giorni. La sua instancabile attività si è concretizzata con la pubblicazione di oltre cinquanta libri e oltre trecentocinquanta articoli. È da segnalare anche l’ottenimento di alcuni prestigiosi traguardi come la nomina a membro della Pontificia Accademia delle Scienze nel 1990 e il conseguimento del Premio Templeton nel 1987. Jaki ha pubblicato anche diverse opere riguardanti specificamente la teologia, come la sua dissertazione finale al Sant’Anselmo (Les tendances nouvelles de l’ecclesiologie, 1957) e alcuni studi sulla figura di John Henry Newman (1801-1890).

          La caratteristica che distingue la scienza dalle altre discipline del sapere è quella di riguardare la quantificazione dei fenomeni naturali; questa peculiarità è data dall’impiego del modello matematico che consente di parlare di una precisione e di un rigore scientifici. Aspetti come la dimensione etica della scienza o il finalismo della natura non rientrano nelle competenze del discorso scientifico. Proprio per queste ragioni nella storia del pensiero moderno si può parlare di una Rivoluzione Scientifica, cioè di quella fase che ha condotto la ricerca naturale dall’impostazione qualitativa e finalistica verso quella quantitativa. Nell’opera di Jaki il riconoscimento della specificità della scienza porta alla confutazione di tutte quelle concezioni rientranti nello scientismo naturalista, come la pretesa di dimostrare l’inesistenza di un Creatore e la conseguente ammissione di princìpi come l’eternità e l’autosufficienza della materia. Le recenti scoperte scientifiche, invece, mostrerebbero un universo dotato non certo dei caratteri della necessità, ma di un alto grado di specificità e di contingenza.

          Questi fattori, anche se non saranno mai in grado di dimostrare scientificamente l’esistenza di Dio, come invece sostengono scuole di pensiero come quella creazionista, costituiscono senza dubbio un supporto all’idea di un «disegno intelligente» all’opera nell’universo. Le interpretazioni ateiste del darwinismo, l’impostazione materialistico-dialettica dei cosmologi dell’ex scuola sovietica, così come le velleità di molti scienziati che partono dalle loro conoscenze per oltrepassare gli ambiti legittimi della scienza, sono alcune delle istanze di un pessimo uso del discorso scientifico in chiave anti-religiosa e, soprattutto, anti-cristiana. Tutto ciò avviene in un’epoca nella quale il recupero della dimensione etica della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche rappresenta una scelta non più rinviabile.

          Il riconoscimento dei rispettivi ambiti di scienza e fede, tuttavia, non ha impedito a Jaki di evidenziare la chiara influenza della teologia cristiana sulla nascita delle scienze esatte. In questo senso Jaki può essere considerato come il continuatore dell’opera di Pierre Duhem (1861-1916), il padre della storia della scienza.

          Duhem con le sue scoperte relative alle radici medievali del metodo scientifico, aveva già confutato l’impostazione illuminista e positivista che affermava un radicale distacco della razionalità scientifica dalla cultura teologica. Oggi qualche particolare delle teorie di Duhem viene contestato, ma la centralità della sua opera non è discussa e nessun noto storico della scienza è in disaccordo nell’indicare le origini della scienza stessa nel processo di revisione del pensiero aristotelico, avvenuto a partire dal XIV secolo, cioè nel tardo medioevo cristiano.

       Jaki, oltre a evidenziare il ruolo fondamentale del principio di creazione dal nulla per la nascita della scienza esatta, ha avuto il grande merito di indicare la ragione per la quale essa è sorta nel mondo cristiano e non negli altri contesti monoteisti come quello ebraico o islamico. Una teologia incentrata su Cristo come Unigenito figlio del Padre, ha escluso definitivamente ogni possibilità di concepire un mondo come emanazione da un primo principio. In una sorta di via di mezzo tra monoteismo e panteismo, secondo Jaki, sarebbero incappati nel medioevo alcuni autori arabi ed ebraici che, per questo motivo, non sarebbero riusciti a giungere ai fondamenti di quel principio d’inerzia che invece troviamo affermati per la prima volta nell’opera del filosofo francese Giovanni Buridano (XIV sec.). La concezione dell’Unigenito, in altre parole, ha negato ogni forma di panteismo, animismo o finalismo naturale, del tutto estranei al modello quantitativo della scienza moderna. La credenza cristiana nel Logos (Verbo) divino ha comportato la visione di un universo razionale e coerente, al quale l’azione creatrice ha conferito autonomia pur mantenendo la dipendenza dell’universo stesso dal Creatore. Come Jaki ha più volte sottolineato, la mancanza di questi presupposti ha generato i cosiddetti stillbirths of science cioè le mancate nascite della scienza in quei contesti religiosi, generalmente fondati su una visione panteista, che pur hanno raggiunto un elevato livello di conoscenza matematica. In questi contesti, dunque, anche se in presenza di un’attiva ricerca, non sono state scoperte le leggi fondamentali sul moto dei corpi che rappresentano la base della svolta scientifica moderna.

          Jaki ha sempre sostenuto le sue tesi con estremo vigore, assumendo posizioni forti nei confronti di altri ricercatori che si sono espressi in merito al rapporto scienza-fede, anche se, molto spesso, a partire da una competenza solo scientifica. Non è certo facile, inoltre, evitare polemiche quando ci si confronta con chi tenta di negare le evidenze storiche che Jaki ha portato a sostegno delle sue tesi, come l’influenza decisiva del pensiero cristiano e degli ordini religiosi per la nascita e il progresso della scienza, i continui fallimenti dello scientismo e di tutti i tentativi di invalidare la teologia in base a considerazioni scientifiche, il pericolo dell’assenza di una dimensione etica nella ricerca. Spesso accade che nella storia di uno studente ci sia un libro che ha avuto un impatto fondamentale per la sua formazione personale. Per quanto mi riguarda, la lettura della seconda edizione dell’opera di Jaki The Savior of Science (Eerdmans, 2000) ha rappresentato una svolta negli studi da me compiuti. L’evidenza di una scienza esatta legata ai fondamenti della teologia cristiana è stata per me un ulteriore incentivo ad adottare quel rationabile obsequium (culto ragionevole, Rom 12,1) del quale lo stesso Jaki ha spesso parlato nei suoi lavori.

          Colgo l’occasione per segnalare alcune delle sue opere disponibili in italiano: Le strade della scienza e le vie verso Dio (Jaca Book 1988), Dio e i cosmologi (Libreria Editrice Vaticana, 1991), Il Salvatore della scienza (Libreria Editrice Vaticana, 1992), Lo scopo di tutto (Ares, 1994), Domande su scienza e religione (Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, 2008), Cristo e la scienza (Fede & Cultura, 2006), Il messaggio e il suo mezzo (Fede & Cultura, 2007), Disegno Intelligente? (Fede & Cultura, 2007), Arcipelago Chiesa (Fede & Cultura, 2008), Gesù, Islam, Scienza (Fede & Cultura, 2009).

 

Alessandro Giostra

(tratto da emmeciquadro n. 36, agosto 2009)